IL COMPIACIMENTO DEL PADRE
12 gennaio 2014 - anno A - Battesimo del Signore
C'è poco da concedere al racconto in sé, nel brano di Matteo di questa domenica. Per comprenderlo, soprattutto nel messaggio che vuole comunicarci, bisogna far ricorso alla simbologia, in particolare teologica, di cui è ricco.
Avevo già accennato, sempre a proposito dell'attività del Battista (in poche settimane è la terza volta che ricorre questa figura) circa il luogo da lui scelto per accogliere tutti coloro che desideravano essere battezzati e disporsi ad una vita nuova. Betabara, che significa "guado", punto in cui l'acqua del fiume permette l'attraversamento, è una cittadina posta sul confine segnato dal Giordano e aveva rappresentato, per i fuggiaschi israeliti dall'Egitto, il punto in cui entrarono nella terra promessa, nella terra della libertà. Una terra che, a causa della loro stessa durezza di cuore, non si era rivelata il luogo dove incontrare la libertà vera.
Giovanni Battista invita il popolo ad un nuovo esodo, lo invita a tornare aldilà del Giordano per riattraversarlo con intenzioni rinnovate, da convertiti a progetti migliori per la loro vita futura. Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me? Giovanni ha passato tutta la sua vita a preparare l'avvento del Salvatore. L'ha passata formandosi duramente attraverso privazioni inimmaginabili nell'austerità del deserto, predicando una giustizia di Dio altrettanto rigida e austera che avrebbe visto nel Messia la più alta espressione. Si vede arrivare Gesù, che sapeva essere l'atteso di Israele, e la sua meraviglia è grande: non può sottoporsi, lui senza peccato, ad un battesimo di penitenza cone tutti gli altri! Lui non ha bisogno di conversione.
Non è difficile immaginare il suo stupore, che è anche il nostro!
E' lo stesso stupore di Maria e di Giuseppe nel momento in cui si rendono conto di essere chiamati ad accogliere Dio nella loro vita in un modo cosi terreno, così autenticamente umano. Un Dio che vuole condividere la condizione dell'uomo in tutto e per tutto, nel suo essere una fragile creatura bisognosa di protezione e di aiuto materiale, per la sua crescita fisica e intellettuale, fino al momento di diventare adulto e pronto per la missione a cui è destinato.
E' un Dio che viene il nostro. Un Dio da accogliere e non da cercare o verso cui andare. Gesù uomo, che si presenta al fiume ad un Giovanni incredulo, sembra dire: non mi sono fatto uomo per finta. Ha condiviso in tutto la condizione umana, tranne che nel peccato. Un Dio estremamente solidale con l'umanità. Non un Dio finto uomo ma un uomo come tutti gli altri, talmente vicino da voler condividere in tutto la nostra vita.
Un Dio che scende, che viene, che incontra ed è il primo che si mette in cammino, che fa il primo passo. Pensiamo di essere noi a salire per conoscere Dio, invece è lui che scende al nostro livello per incontrarci. Un Dio che si rivela ma non come lo vorremmo noi. Conseguenza ne è la necessità di sintonizzarsi sui suoi tempi. Un Dio non facile da accettare. E' un Dio che spiazza, che va controcorrente, che per arrivare alla pienezza della vita chiede qualcosa che va contro quello che vorremmo noi. Non è facile entrare in rapporto con un Dio così, chiede fatica, chiede di saper aspettare, chiede di fidarsi di lui.
La strada che si presenta davanti a volte è l'esatto contrario di quella che vorremmo che fosse. Giovanni però voleva impedirglielo... Il Battista non l'ha ancora capito ed è costretto a rimettersi in discussione. Sembra che Gesù voglia dirgli che la strada che sta indicando non è quella giusta. Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». C'è una sola vera giustizia ed è quella di Dio, e non corrisponde proprio a quella espressa con il rigore che Giovanni immaginava. La giustizia consiste nel manifestare la volontà del Padre, ed è quella che Gesù vuole offrire. E' fondata sul principio imprescindibile dell'amore e non importa chi prende l'iniziativa quando è autentico, fosse Dio stesso a farlo!
Giovanni capisce e allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli... Nell'Antico Testamento quando interviene Dio lo fa per punire. Emerge soprattutto nei profeti, quasi sempre annunciatori di sventura per l'infedeltà del popolo. A causa di questa anche il tempo dei profeti si esaurisce e la comunicazione del cielo con la terra si interrompe. Da qui l'immagine del cielo che si chiude: è perché Dio smette di comunicare con gli uomini. Al Giordano il cielo si riapre, Dio torna a parlare al suo popolo.
Gesù, non viene per punire o per convertire con la forza, come magari avrebbe voluto Giovanni Battista, ma viene nel modo più mite e vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui, scende lo Spirito a conferma che il Padre condivide quello che Gesù ha detto con il suo gesto: Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento.
Quanto opportunamente risuonano i richiami alla tenerezza di papa Francesco dall'inizio del suo servizio alla Chiesa universale! Basta con la durezza degli obblighi, delle minacce di perdizione eterna come conseguenza del peccato,
per una fede del timore e della sottomissione ad un padre padrone. Bisogna ripartire dalla tenerezza che meglio di tutte fa conoscere la vera figura del Padre e del quale il figlio, proprio perché figlio unigenito, è immagine fedele. Figlio implica l'affermazione non della sola condizione biologica ma della somiglianza con il genitore in tutto ciò che caratterizza l'umano: i valori, le scelte morali, il modo di ragionare e di agire. Presentando Gesù come suo figlio il Padre garantisce che si riconosce pienamente in lui, gli assomiglia nella perfezione.
Nel Battesimo anche a noi è donato lo Spirito e la stessa condizione di figli. Più seguiamo il Gesù terreno e più ci sarà anche in noi questa somiglianza con il Padre e, sempre più, otterremo il suo compiacimento.