COSA STAI ASPETTANDO?
2 febbraio 2014 - anno A - Presentazione del Signore al Tempio

E' stato verso la fine degli anni '50 quando, ancora ragazzino, fui testimone di una scena che solo oggi mi è finalmente chiara in tutte le sue implicanze culturali e religiose. All'ingresso della chiesa, su una donna che aveva da poco avuto un bambino, il sacerdote compì un rito inusuale, una specie di esorcismo che, sul momento, avevo associato ad una ammissione di colpa da espiare pubblicamente. Ricordo che la spiegazione di mamma circa la correlazione con la gravidanza avrebbe poi condizionato non poco l'idea di sessualità che si andava formando nella mia fragile condizione pre-adolescenziale.
Una delle motivazioni che spinge Maria e Giuseppe a recarsi al tempio è proprio per compiere questo rito di purificazione, secondo me, doppiamente inutile. In primis perché legato ad una concezione di peccato legato alla procreazione, che è solo un dono di Dio affinché l'uomo possa collaborare con Lui nella sua opera pro-creativa. In secondo luogo perché sappiamo come il peccato sia stato tenuto lontano fin dalle origini da quella ragazza di Nazareth che, peraltro, era ben consapevole delle vicende che l'avevano portata alla maternità.
Questa famiglia, che evidentemente viveva una religiosità molto convinta e profonda, non ritiene di essere in una situazione così privilegiata da permetterle di considerarsi al di sopra o aldilà della Legge. E' stata pronta ad accettare per fede una situazione che la metteva direttamente in relazione con i misteriosi disegni dell'Altissimo ma è altrettanto disponibile a sottomettersi con umiltà alla tradizione, che prevedeva la purificazione per la riammissione al culto e l'offerta del primogenito che, secondo le scritture, apparteneva al Signore e che si poteva riscattare sacrificando un agnello o, per le famiglie povere, una coppia di colombe. Il fatto che Giuseppe si presenta al tempio portando i due volatili è segno delle condizioni economiche poco floride della famiglia di Nazareth.
Presentano Gesù nel tempio al Signore da cui ciascun uomo proviene, appartiene ed è tenuto a realizzarne il progetto che ha su di lui. I genitori devono guardarsi dall'amore possessivo, devono mettersi al servizio dei figli perché realizzino il disegno a cui Dio li chiama. Del resto, i figli non sono proprietà dei genitori, non sono sacchi vuoti da riempire, ma speranza per un futuro migliore per la società. La specificità di cui ciascuno può essere potenzialmente portatore, coltivata e fatta emergere senza inquinamenti da aspettative dei genitori stessi, deve essere valorizzata con sentimenti di rispetto e gratuità.
Un gesto semplice ed intenso quello di Maria e Giuseppe: non si sottraggono ma osservono la legge e la compiono, la portano a compimento. Un gesto di obbedienza che illumina anche i nostri cammini di oggi: non è necessario fare a tutti i costi percorsi alternativi, cercare strade diverse per incontrare Dio. Basta utilizzare gli strumenti che ci sono dati: la parola, i riti, i sacramenti e quant'altro lo "strumento" Chiesa, voluto espressamente da Cristo, ci mette a disposizione.
Non dimentichiamoci però di guardare a questa realtà nella sua accezione, novità importantissima, proclamata dal Concilio Vaticano II, cioè di una società a cui tutti i credenti appartengono e di cui sono corresponsabili. Una società in un diuturno, faticoso cammino di cui sentirsi intimamente collaboratori più che utenti, ciò che troppo spesso, per pigrizia, accade.
Altre due interessanti figure caratterizzano il Vangelo di questa domenica: Simeone e Anna. Assidui frequentatori del tempio e della parola di Dio, profondamente aperti all'azione dello Spirito, sono gli unici ad accorgersi di quella presenza straordinaria che stava manifestandosi quel giorno nel tempio. Con gli occhi contemplativi di cui gli anziani sono spesso dotati, sanno riconoscere meglio di altri il senso della storia. Ravvisano in quel bambino così debole e fragile la presenza di Dio che si manifesta nel mondo, che continua ad aigre per la salvezza dei suoi figli. E non lo fa alla maniera nostra ma alla sua, attraverso i piccoli, attraverso un bambino.
Simeone, persona dal cuore puro, non vede solo quello che vedono gli altri, è capace di vedere aldilà, di individuare l'identità autentica di quel bambino. Può riconoscerlo perché per tutta la vita ha avuto per consigliere lo Spirito, si è mosso continuamente in sintonia ascoltando la voce di Dio, non si è lasciato distrarre dalla confusione che c'era intorno a lui.
Lo Spirito parla anche ai nostri cuori e se non permettiamo che la voce del Signore venga inquinata dalle tante voci che si levano intorno a noi, oggi più che nel passato, ci permetterà di riconoscerlo nella Parola e nella comunità. Se ce ne allontaniamo è da Dio stesso che prendiamo le distanze.
Simeone ha sempre ascoltato questa voce, si è sempre fidato. E' una persona anziana che ci insegna ad invecchiare. Non si guarda indietro con nostalgia, non ha paura della morte perché sa che proprio questa da senso alla vita. Per lui la morte è la conclusione di una vita che ha acquisito senso e giustificazione in quell'incontro. Per cui adesso si sente pronto ad incontrarla, anzi la invoca. E' consapevole che è presente una luce che illuminerà le genti, che guiderà l'universo verso una riconciliazione globale. Quasi si può leggere nelle sue parole l'ansia di congedarsi da questo mondo per incontrare tutti coloro che l'hanno preceduto e portare loro la buona novella dell'esperienza di cui è stato oggetto.
Pensa alla luce che finalmente illuminerà tutti i popoli, benedice Maria e Giuseppe ma, al tempo stesso, fa loro una profezia: questo loro figlio è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele. Avrà una vocazione da compiere in questo mondo, ma mentre alcuni lo accoglieranno altri lo rifiuteranno. Israele (la simbologia rimanda alla figura di Maria) è la madre che ha dato il messia al mondo, ma una dolorosa lacerazione avverrà al suo interno: saranno pochi ad accoglierlo. Ma non importa, perché sarà luce per rivelarti alle genti, la sua opera di salvezza sarà per le genti, per l'umanità intera.
Anche Anna contribuisce a richiamare la contraddizione che avvolgerà la figura del messia. La simbologia che ritroviamo nell'età (84 è il prodotto di 7x12, in cui il numero 7 richiama la perfezione e il 12 la totalità del popolo), ribadita nei 7 anni in cui è stata sposata, sono segno della fedeltà di un resto del popolo di Israele alla legge e ai profeti. Anna non si è risposata, a misura di quella che dovrebbe essere la fedeltà del popolo all'unico sposo, innamorato dell'umanità. Ha avuto il coraggio di rimanere sola per essere fedele allo sposo. E' una donna che sa che certi valori saranno vincenti, che pagano. La coerenza nella vita è molto importante.
Dio entra nella storia di ogni persona in ogni stagione della vita, anche quando sembrerebbe tardi. Quando il mondo ci dice: tu non hai più nulla da dare, cosa stai aspettando? e magari ci insinua l'opzione che si può anche togliere il disturbo (leggi eutanasia), abbiamo il diritto e il dovere di rispondere: sto aspettando Dio nella mia vita e in ogni momento può chiamarmi a qualcosa di grande. Lo Spirito non guarda all'età ma al cuore, alla perenne novità di Dio che si presenta nella nostra vita e giorno dopo giorno la rende stupenda.
Ma attenzione, difficile nella vita non è accogliere Dio bensì rimanergli fedele in ogni circostanza!

Alla prossima, ciao
tonino

31 gennaio 2014

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