SALE E LUCE
9 febbraio 2014 - anno A - V domenica del Tempo Ordinario

Gesù ha appena proclamato le beatitudini (le avremmo lette la settimana scorsa se la festa della Presentazione di Gesù al tempio non avesse avuto la precedenza), e continueremo a leggere, in sequenza, in queste domeniche che precedono la quaresima, il suo discorso programmatico, più comunemente noto come discorso della montagna.
Quel Voi siete che introduce il breve passaggio del Vangelo di questa domenica è un chiaro messaggio che il discorso non è rivolto a tutti ma solo ai discepoli, quelli del suo tempo e quelli di oggi, a coloro che hanno ricevuto l'annuncio e l'hanno accolto, a coloro che hanno capito cosa Gesù propone e che sono tenuti a raccontarlo. Ma non a parole bensì con la vita, praticando concretamente le beatitudini, proponendole con l'esempio.
Sale della terra, luce del mondo, lucerna in vista e non nascosta, sono tutte immagini per comprendere la nostra identità nel mondo.
Il sale è ciò che da sapore ai cibi, li rende più appetitosi, più commestibili. Nell'antichità serviva anche per conservarli e, in alcuni casi, ancora oggi viene utilizzato a tale scopo. E' immediata l'associazione a quel sapore speciale che ciascuno sente di dover dare alla sua e alla vita in generale. Il cristiano è consapevole in modo particolare di questa esigenza in quanto convinto che il messaggio che vuole proporre è di quelli che danno un gusto e un senso particolare all'esistenza, che è quello giusto perché la vita possa essere vissuta in modo equilibrato e nel rispetto di ogni dignità.
Il sale viene chiamato in causa associandolo alla sapienza. Avere sale in zucca sta ad indicare una persona saggia, equilibrata, capace di imporsi all'attenzione. Al contrario, essere senza sale è sinonimo di chi non ha nulla da dire. Una conversazione può essere insipida, senza sapore oppure condita con sale. Tutti sinonimi che prendono a prestito la funzione di questo elemento essenziale.
Siamo chiamati ad essere consapevoli di un compito, una missione importante: essere persone capaci di insaporire la vita, di offrire la sapienza dei valori evangelici alle persone che incontriamo. Nostro dovere, nostra responsabulità è non perdere il sapore, evitare di diventare insipidi, insignificanti, incapaci di offrirci come persone gustose, saporite che aiutano a trovare significati. Non siamo gli unici portatori di sapienza ma è bello sapere che possiamo esserlo se solo facciamo nostra e testimoniamo la proposta di Cristo.
C'è molta cultura e molto sapere oggi, più che in qualsiasi altro periodo storico, ma non sempre è saggezza. Il cristiano può e deve proporsi come persona bella. Chi pretende di portare avanti una sapienza deve poterselo notare a partire dal linguaggio che usa, privo di insulsaggini e turpiloqui, deve mostrare principi e valori che sono altri rispetto a quelli spesso futili che pubblicità e TV propongono come imprescindibili. La vita può avere un gusto, un sapore, il sale che solo la proposta di Cristo può offrire, ed è bello diffondere questo sale. Senza la sapienza del Vangelo che senso avrebbe la nostra vita? Mangiare, bere, divertirsi, godere dei beni: è questa la sorte che l'uomo si dà? Forse può esserla per coloro che non hanno gustato il sale che viene dal Vangelo.
Il sale però di per sé non è immediatamente commestibile, deve stare insieme alla pasta, deve amalgamarsi con i cibi. Così il cristiano, se è sale deve stare in mezzo agli uomini, con la gioia di chi gusta il sapore della vita, di chi sa infondere speranza, sa dare motiviazioni, è custode delle buone tradizioni. Non cerca la purezza e la santità per se stesso ma sa mettersi in gioco senza la paura di sporcarsi le mani incontrando coloro che le mani le hanno già sporche. Cercherà di avere sapore, consistenza, un cuore capace di amare Dio ma attraverso gli altri.
Questa è la grande responsabilità dei cristiani. Non migliori degli altri ma senza la paura di mostrarsi con le proprie convinzioni e i propri valori. Né inferiori né superiori ma che, illuminati gioiosamente dall'incontro con Cristo, sanno dare una testimonianza chiara, sincera, autentica non per esibirsi, per ottenere gloria e riconoscimenti ma per far incontrare Gesù alle persone intorno a loro attraverso opere di bene, frutti di misericordia che hanno nelle beatitudini la fonte da cui scaturiscono.
Il cristiano non brilla di luce propria. Come la luna riflette la luce del sole così il cristiano riconosce di essere il riflesso della luce di Cristo per il bene di un mondo che troppo spesso si ritrova ad essere pericolasamente al buio.
Dal cristiano deve uscire una luce di bellezza. Non impone obblighi o dogmi o definizioni. Non alza la voce ma parla con molta umiltà di Dio. Ha una condotta bella affinché la persuasione passi attraverso opere belle. Mostra che vivere secondo la proposta del maestro è bello. E' per la bellezza della vita che conduce che gli altri lo accoglieranno. Per illuminare quelli che sono fuori dalla comunità cristiana la luce deve splendere nella comunità stessa.
Diamo luce perché siamo illuminati dal Vangelo. Ma possiamo splendere solo se prima ci siamo lasciati illuminare.

Alla prossima, ciao
tonino

7 febbraio 2014

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