Lunedì scorso Berlusconi e Bossi, controllati a vista da Tremonti, arbitro e responsabile dell'economia italiana, dedicavano l'intera giornata a modificare, ma di fatto a riscrivere, la legge finanziaria di emergenza che dovrebbe portare il nostro paese in acque meno agitate per l'immediato. Cinque minuti dopo la fine del summit, nei primi giornali radio e televisivi già un fiume di commenti negativi si abbattevano sulle proposte uscite da Arcore. Le reazioni insoddisfatte per una manovra ancora peggiore della prima stesura tremontiana venivano proposte addirittura in anticipo rispetto alla diffusione alla stampa del testo. Mi rifiuto di pensare che i contenuti, sottoposti a discussione difficile e contrastata durata molto più del previsto, fossero già a conoscenza di giornali e soprattutto di partiti di opposizione. Emerge pertanto evidente la demagogia sottesa a commenti così tempestivi e così negativi. Con buona pace degli inviti del Presidente Napolitano ad un dialogo più concreto e meno di parte in circostanze così dificili della vita economica e sociale italiana.
Da uomo della strada mi chiedo se dialogare significhi semplicemente fare proposte alternative, denigrando le proposte degli altri oppure molto più semplicemente sedersi nel caso concreto negli emicicli istituzionali per cercare mediazioni che contemplino le soluzioni più condivisibili per tutti, senza dimenticare la regola fondamentale della politica che resta, purtroppo o per fortuna, quella del fare le cose possibili.
Invece siamo costretti ad assistere per l'ennesima volta a critiche feroci sulle proposte del governo, accusato di incapacità, di insensibilità ai bisogni veri della gente, di mancanza di idee se non addirittura di mancanza di coraggio. Concludendo con l'invettiva e l'invito a fare presto e poi a passare la mano. Tutto legittimo per chi fa opposizione in tempi normali. Molto meno quando si riconosce che il momento è critico per cui una confluenza di intenti e di contributi collaborativi sarebbe quantomeno necessaria se non doverosa.
E che dire dell'altra sponda? Tanta disponibilità a parole ad accogliere i suggerimenti che possano arrivare dall'opposizione
ma nei fatti pronti a mettere la fiducia rendendo immutabili le decisioni prese a Villa San Martino.
Ancora una volta siamo costretti ad assistere ad un teatrino di politicanti che nemmeno nel momento di affogare sono disponibili a condividere una zattera di salvataggio.
Spesso mi sono chiesto: ma chi glielo ha fatto fare a Berlusconi di prestarsi in questi ultimi venti anni della sua vita (ultimi in senso temporale, non gli auguro certo di passare a miglior vita) ad accollarsi un impegno così stressante e gravoso come quello di guidare un paese come l'Italia, con tutti i trabocchetti politico-giudiziari che si sono susseguiti in modo così metodicamente insistenti.
Ultimamente spesso gli avrei voluto suggerire: caro Silvio, lascia stare, ma chi te lo fa fare? vai a goderti i tuoi miliardi di euro nel posto che più ti aggrada, con le ragazze che più ti piacciono, con i tuoi amici Emilio e Fedele, e lascia a qualcun altro, che si ritiene magari più capace e più competente, di interessarsi delle pubbliche necessità.
Il problema è che nessuno vuole veramente sostituire il tanto odiato Silvio! Sono tutti d'accordo che se ne debba andare ma non vogliono prenderne il posto. Perché prendersi direttamente le responsabilità non solo non fa comodo in questo momento perché non paga, ma soprattutto la verità è che nessuno si sente all'altezza di potercela fare. Per cui la proposta è di un governo tecnico, di persone a cui attribuire oneri ma non onori, che comunque non ci sarebbero. Dico solo questo. I governi, di tecnici o di politici, in Italia devono sempre godere della fiducia del Parlamento.
E' a voi politici che attribuiremo sempre meriti e demeriti. Vi teniamo d'occhio, tutti. E' sulle capacità che sarete giudicati, anche su quelle di saper rischiare, di esporvi alla possibilità di sbagliare!
Alla prossima, ciao
2 settembre 2011
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